Andrea Pazienza e la sua insostenibile leggerezza dell’Essere

Il 16 Giugno di trentasette anni fa si spegneva a Montepulciano Andrea Pazienza. Aveva 32 anni. Per chi l’ha apprezzato quando era in vita e per chi lo scopre oggi per la prima volta, Paz è vivo. E viva è la sua opera.

Pazienza è stato il protagonista di una stagione indimenticabile per gli appassionati del fumetto d’autore, riuscendo anche a rappresentare con la sua vita e la sua arte, una generazione, come quella a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80, caratterizzata da genio e sregolatezza. Una generazione incapace di sfruttare i propri slanci, ma abile a perdersi  nei bassifondi dell’eroina.
Pazienza non è stato solo un disegnatore, è stato molto di più; anzi, è molto di più.
Il genio di Andrea Pazienza esplode in tutta la sua potenza in Pompeo, opera monumentale, come fosse un flusso di coscienza ininterrotto pronto a coinvolgere il lettore impetuosamente. L’uso di una koiné linguistica in cui confluiscono termini dialettali, colti e sperimentali, si sintetizza perfettamente con i tratti fumettistici sempre diversi pronti ad incarnare gli stati d’animo che l’artista vuole trasmettere attraverso le pagine del suo capolavoro. Pazienza con Pompeo, e la sua caratterizzazione fortemente autobiografica, fonde Arte e Vita, riuscendo a creare un testamento artistico senza precedenti.

Se si volesse cercare nella storia dell’arte recente un qualcosa di simile, si dovrebbe tornare indietro di più di mezzo secolo, e riscoprire Il Mestiere di vivere di Cesare Pavese, ma non si riuscirebbe comunque ad ottenere la stessa impetuosità che Paz infonde in Pompeo. Il genere diaristico, infatti, qui è intrecciato ad una narrazione “apparentemente” oggettiva e ad immagini che aiutano a far arrivare al punto, lì dove magari le parole non servirebbero a molto. Gli sfoghi di un’anima debole, nei loro momenti di massima disperazione, dopo una discesa repentina, si alleggeriscono del loro peso grazie alle citazioni di poesie meravigliose di Pasternak o Esenin.
Andrea Pazienza riesce a descrivere gli alti e bassi di un’anima fragile prigioniera dell’eroina, alternando atti d’amore verso di essa, via di fuga privilegiata dagli anfratti di una vita disincantata, e  disperazione, per non essere più capace di sentirsi. La consapevolezza di se e del proprio passato viene allontanata dal protagonista/Pompeo/Paz attraverso la dipendenza, quasi come un atto di ribellione nei confronti di una vita che promette pietà ma rende veleno.

Pazienza, come un novello Peter Pan incapace ormai di volare, insegue senza sosta la sua Isola che non c’è, ci prova, la intravede, ma si lascia cadere senza forze quando ha la consapevolezza che è solo un’illusione: sfuggire al buio.

La vecchiezza è una Roma, senza burle e senza ciance, che non prove richiede dall’attore, ma una completa, autentica rovina“: scriveva Pazienza in Pompeo citando Pasternak; e non sbagliava.

Solo che Andrea è sopravvissuto alla caduta dell’Impero, librandosi in cielo come un’autentica stella cadente.

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